Finalmente il marchio biologico europeo anche sul vino. Il nuovo regolamento fissa una serie di pratiche enologiche e di sostanze permesse per i vini biologici.
Il Comitato permanente per la produzione biologica (SCOF) ha approvato le nuove norme dell’UE per il vino biologico, norme che saranno pubblicate tra poco sulla Gazzetta Ufficiale. A partire dalla vendemmia 2012, ma anche per le annate precedenti, i viticoltori biologici, oltre al logo biologico dell’UE e al numero di codice del competente organismo di certificazione, potranno adottare la dicitura “vino biologico” in etichetta.
Fino ad oggi la certificazione biologica era applicabile solo alle uve e la sola dicitura ammessa finora era “vino ottenuto da uve biologiche”. Ora viene introdotta la definizione di “vino biologico”, perfezionando la normativa che da oggi riguarderà tutti i prodotti agricoli, secondo i principi stabiliti dal regolamento CE riguardante la produzione biologica. Questo permetterà di allinearci ad altri paesi produttori di vino come USA, Cile, Australia, Sudafrica che hanno già adottato norme per i vini biologici.
Il nuovo regolamento fissa una serie di pratiche enologiche e di sostanze permesse per i vini biologici. Non sono consentiti ad esempio l’acido sorbico e la desolforazione, e la quantità di solfiti deve essere inferiore a quella consentita per ill vino convenzionale. Il livello massimo consentito di solfito per il vino rosso sarà di 100 mgper litro (150 mg/l per il vino convenzionale) e di 150mg/l per il vino bianco/rosé (200 mg/l per il vino convenzionale), 50 milligrammi in meno per ogni categoria rispetto ai livelli attualmente in vigore per i vini convenzionali. Attenzione però ai vini dei Paesi del Centro e Nord Europa, Francia compresa, che, per la carenza di sole hanno bisogno dei solfiti per stabilizzare il vino, e dello zucchero per alzarne la gradazione alcolica. In questo caso il differenziale diventa di 30mg/l quando la quantità di zucchero residuo è superiore a 2 g/l. Dunque, 120 milligrammi il litro per i vini rossi, e 170 per quelli bianchi e rosè. Un compromesso per adattare le diverse esigenze e far coesistere all'interno delle stesse norme prodotti con caratteristiche differenti.
Il problema dei solfiti è stato a lungo dibattuto ed è stato una delle cause che ha contribuito a rallentare le trattative fra gli stati membri dell'UE.
Spiegano da Confagricoltura: "Su questo aspetto avevamo chiesto e avremmo voluto una maggiore riduzione dell’uso dei solfiti. Purtroppo, si è dovuti scendere ad un compromesso con i Paesi del Nord Europa che, per difficoltà climatiche e tecnologiche, sono costretti ad usare questo composto in grandi quantità. Sicuramente una maggiore rigidità avrebbe valorizzato meglio il concetto di vino biologico e sarebbe stata più rispettosa anche verso i prodotti convenzionali, che non godono del vantaggio competitivo del prodotto biologico». Le aziende italiane già adesso utilizzano molto spesso quantità di solfiti inferiori ai livelli stabiliti nel regolamento ma, e qui sta la beffa, non potranno evidenziare in etichetta questa loro qualità. In generale, però, la speranza è che l’Italia ne esca rafforzata, visto che il nostro Paese è primo in Europa per superficie coltivata a vigne biologiche, con 30.341 ettari, seguito dalla Francia (21.403) e dalla Spagna (17.665). A favore del nostro Paese giocherà sicuramente la possibilità di etichettare come bio anche il vino delle annate precedenti, purché, spiega Aiab, l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica, «se ne possa dimostrare la conformità alle norme europee, ed in questo senso chi ha il marchio Garanzia Aiab è già conforme".
In ogni caso, se la nuova normativa non ha accontentato completamente tutti, dal mondo del biologico si registrano tutto sommato commenti abbastanza positivi.
“È un passo in avanti” annota il professor Mario Fregoni, uno fra i più conosciuti esperti di viticoltura al mondo “resta la preoccupazione di far osservare le regole, dato che di solito i controlli non sono sufficienti. Altrimenti si rischia di prendere in giro il consumatore con l’idea che qualcosa sia più naturale o più salutare. Il miglior controllo sarebbe quello analitico, dato che oggi ci sono diversi laboratori attrezzati: se facendo delle analisi trovo molecole diverse da quelle ammesse, è evidente che l’inosservanza è del produttore. Per me il vino in genere, biologico o no, dovrebbe avere un etichetta dove si dichiarano tutte le sostanze non strettamente pertinenti all’uva e alla sua trasformazione, e dunque si dichiarano gli additivi ammessi nella UE. È comunque paradossale che sia proprio l’agricoltura biologica (oltre a quella biodinamica) ad aver impedito l’uso di una sostanza tossica come il rame nel terreno. Il rame è un inquinante. Non tanto tossico per l’uomo in quanto durante la fermentazione precipita, quindi non è mai sopra i livelli consentiti. Ma è tossico per l’ambiente: è un inquinante del terreno, specie nei paesi del Nord Europa che hanno terreni acidi dove è pericolosissimo perché viene assorbito dalla pianta. Da noi invece i terreni acidi sono al più il 1-2% (come in Francia Spagna o Portogallo), noi abbiamo terreni calcarei e alcalini o ricchi di sodio, in cui il rame viene praticamente reso inattivo e non assorbibile dalla pianta. Il rame però è tossico anche verso i batteri e i funghi e tutti gli esseri viventi che popolano il terreno e che sono intossicati. Consideri che non si è mai usato il rame in agricoltura fino alla fine dell’Ottocento, quando abbiamo "importato” dall’America oidio e peronospora, oltre che la fillossera”.
Cristina Micheloni del comitato scientifico AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) ha dichiarato: “Come tutti i compromessi politici,” “il risultato non farà felice nessuno, ma tutti saremo un po’ meno scontenti”.